Informarsi è un piacere!

Maria D’Alessandro

Di incontri e addii

Devo iniziare dicendo che sono nata in Italia, nella città di Smenamaro, incastonata tra le montagne e il mare, negli anni fatidici dopo la seconda guerra mondiale, l’evento principale che ha fatto di mio padre uno in più nel contingente dei lavoratori, in base alla stagionalità delle colture, di un nuovo deposito di carbone e di ferro. E fu così che saremmo diventati stranieri in paesi, di cui a malapena sapevamo il nome.

Allora mi chiedo che cosa porta la mia mente a ricordare: il massiccio della Maiella: Tempio che il sole adorava e la cui sommità indicava alle mie sorelle l’ora di andare a scuola e a mamma quando preparare lo stufato e la pizza di mais per i lavoratori.

Quella comunione alla fine della giornata, mamma e noi tre seduti intorno al fuoco mentre lei spianava la massa del pane; allora ci dava dei pezzettini e le nostre mani copiavano le sue, in panetti nella piastra di ferro come offerta al fuoco.

Il cibo era pane e devozione.

Il ricordo mi porta a un pacco avvolto in innumerevoli spire di filo molto spesso. Mamma capì che suo fratello emigrato, molto giovane, negli Stati Uniti d’America, lo aveva mandato. Che bello sapeva dire “zio Alfio, tanto come assaggiare i suoi cioccolatini!.

Di come la terrazza ci regalava a portata di mano ciliegie e fichi in profusione ogni pomeriggio, dove avevamo giocato; io in realtà non mi ricordo quali giochi, sì, la dolcezza dei fichi e la rotondità viola dei ciliegi maturi. Oppure quando, la mamma baciava le mie lacrime ogni volta che cercavo di scendere al cortile per incontrarla e finivo sempre rotolando su di loro.

Del viaggio settimanale al mare in compagnia dello zio Giuseppe, con un fucile a tracolla, quando dovevamo attraversare la foresta tra i sentieri, là dove mamma raccoglieva le lumache mentre noi facevamo a gara per vedere chi scopriva la lumaca più grande; per arrivare a un mare amado y

turchese, circondato da ciottoli.

C’era il pianterreno, con il recinto per alcune pecore e maiali. Che bella la giornata del freddo dicembre quando la nostra gente si riuniva per uccidere il maiale! Eravamo in tanti come quando sono venuti a dire addio.

L’ultima volta dei cugini tutti insieme!

Quel giorno mi riporta a una lettera arrivata poco prima. Era papà che scriveva la notizia del ricongiungimento familiare in un nuovo paese, generoso in risorse e lavoro. Dove addirittura stava edificando una casa.

Non avevo mai visto piangere tanto mia mamma.

Così partimmo tenendoci per mano. La stazione ferroviaria e un mollo sono state le pietre miliari che hanno annunciato il nostro “arrivederci”.

Poco dopo di salire le scale di una grande nave fu la partenza con una sirena che coprì lamenti ovunque. Viaggio in cui invano ho cercato l’amico con cui giocavo fino a l’ultimo giorno.

Abbiamo trovato l’Argentina una mattina bella e soleggiata dell’11 febbraio 1952, dove imparammo a dire papà, con gente che aveva il desiderio di essere ricevuta da Eva Peron, in fila interminabile di fronte al suo ministero, la previdenza sociale, in cerca di medicine, macchina da cucire, mattoni.

Un paese dove si mangiava, c’era lavoro nelle fabbriche tessili, e assieme a noi, che eravamo parte dell’ultima ondata di immigrazione europea, i “cabecitas negras” delle province interne. L’Argentina di Mirta Legrand nota per i film dei telefoni bianchi — ma oggi famosa per il suo pranzo in TV — e la schiena nuda di Zully Moreno in Dio ti benedica, dell’italiano Cesare Amadori.

Terra nuova che ringrazio per la salute di mamma, il lavoro operaio di papà, la lingua spagnola che in fretta imparavo e che uso quando rinnego ma non quando amo, e El’Aleph di Jorge Luis Borges.

A cura della Redazione

 

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