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Piera Ventre – Gli spettri della sera

Splendido e suggestivo sin dalla immagine di copertina.

Ci sono autori la cui scrittura è per noi così familiare, da avere la sensazione di conoscerli da sempre, e così aspettiamo con ansia ogni loro nuovo scritto. Appartiene alla mia personale categoria di scrittori familiari Piera Ventre, che ha recentemente pubblicato il suo nuovo romanzo, Gli spettri della sera, con l’editore di sempre, Neri Pozza.

Questo libro mi ha fatto compagnia durante un viaggio aereo intercontinentale, tenendomi sveglio per tutta la notte. Sebbene la scrittura della Ventre sia familiare, ogni suo nuovo libro è una sorpresa, riuscendo a essere, allo stesso tempo, uguale e diverso rispetto ai precedenti.

La prima sorpresa che ho avuto è stato ritrovare Stella D’Amore, la bambina protagonista del romanzo d’esordio della scrittrice napoletana, Palazzokimbo, ormai cresciuta. Oh, tranquilli, non si tratta di un sequel di Palazzokimbo, e nemmeno di una saga familiare, genere che va tanto di moda di questi tempi.

Stella non è la protagonista assoluta, ma una dei protagonisti di un romanzo corale, assieme al cugino Michele, alla sorella Angela, alla madre, alla zia Marina, al marito di lei Rensìn e alla mamma di lui Lodovina; a differenza di Palazzokimbo non siamo a Napoli, anche se la città è presente nei ricordi dei protagonisti, ma nel Monferrato, dove la zia Marina è andata a vivere dopo il matrimonio con Rensìn.

L’autrice parte da un episodio, il primo viaggio nel Monferrato di Stella e Michele, per poi ripercorrere, attraverso i ricordi dei diversi protagonisti, gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Attraverso le riflessioni dei protagonisti, la Ventre induce il lettore a riflessioni personali, come, per esempio, quando descrive l’invidia: mi convinsi che l’invidia era un sentimento monco; nasceva, per la maggior parte delle volte, da una presupposizione, da un’ipotesi che metteva in luce solo il bello lasciando volontariamente nell’oblio tutto ciò che avremmo voluto non vedere.

Con i suoi scritti, ogni volta la Ventre mi fa salire sulla giostra della memoria, riportando in vita episodi del mio passato, così simili a quelli descritti nel libro. Non conosco l’autrice, non conosco la sua famiglia, non so quanto, dei suoi romanzi, provenga dal vissuto e quanto sia frutto di creatività, eppure ogni volta (ma forse questa volta ancora di più che negli altri romanzi) mi ritrovo a leggere di un’Italia che non c’è più e che pure era ben presente non troppo tempo fa.

Leggendo delle vicende di Marina, mi sono ricordato della sorella di un vicino di casa che, quando io ero bambino, andò in sposa a un agricoltore di Mantova, conosciuto tramite un sensale. Raccontando di un funerale, con poche, precise parole la Ventre mette a confronto le diverse usanze tra il nord e il sud della penisola: a Napoli preferivano metterli nella cassa in abiti che fossero più comodi, si vede.

La lingua utilizzata, un italiano accurato pennellato da espressioni dialettali, non solo napoletane ma anche del Monferrato, risulta come sempre gradevole e scorrevole. Questo romanzo è sicuramente un omaggio alla terra che ha dato i natali a Pavese e Fenoglio, ma è soprattutto un regalo per noi lettori. Buona lettura!

Di Maurizio Nappa Improta

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